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Umberto Cornale
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info [@] umbertocornale.it

L’occhio che trasforma attimi in
poesia pura
Incontro con Umberto Cornale
di Katia Pangrazi
Umberto Cornale nasce a Valdagno
(Vicenza) il 28 giugno del 1956 e la
sua infanzia si svolge a Recoaro
Terme dove risiede la famiglia. Suo
padre era un commerciante di
Recoaro, sua madre una maestra di
scuola elementare nata a Este. Con i
genitori ha avuto un rapporto
piuttosto sereno, e proprio la madre
lo fa appassionare alla musica e
all’arte, introducendo in casa un
pianoforte comprato a rate, e libri
d’arte d'ogni genere. Umberto ha
sempre vissuto con la musica e
studiato pianoforte, sognando il
classico e la musica jazz.
Successivamente si dedica al piano
bar e si iscrive alla Scuola d’Arte
con indirizzo "Decorazione
pittorica", a Padova, presso
l’Istituto Pietro Selvatico,
diplomandosi nel 1977.
La macchina fotografica diventa la
sua “cinepresa”. Cornale sente forte
il desiderio di imparare a girare un
film e si iscrive a Ipotesi
Cinema, a Bassano del Grappa,
che all'epoca era diretta da Ermanno
Olmi. Decide così di trasportare i
suoi progetti con la macchina
fotografica analogica, barricato in
camera oscura. “Una storia
fotografica in sequenza nasce da un
testo, da un volto oppure da un
luogo” afferma.
Umberto
Cornale pratica
la fotografia da oltre 40 anni,
pur facendo tutt'altro mestiere per
vivere. La sua prima mostra risale
al 1978, quando realizza il Giardino
delle Muse, la prima ‘storia
fotografica’. Da allora ha percorso
innumerevoli altri racconti visivi
dedicati alla danza, alla musica di
Mozart, Mahler e Stravinsky. Nel '90
a Villa Pisani ha esposto Equilibrio
all'ultimo sole, a Vicenza e
Bolzano nel '93 ha portato Eterna
maternità, storia fatta di
magistrali scatti con sottofondo di
Mahler e Pergolesi, dedicata
soprattutto ai Kindertotenlieder (Canti
per i bambini morti), un ciclo
di romanze per voce e orchestra
composto da Gustav Mahler musicando
cinque poesie di Friedrich Rückert.
La mostra è stata presentata alla
settimana musicale di Gustav Mahler
a Dobbiaco nel 1994.
Nel
'96 realizza un'impresa senza
precedenti: Vestito da Sposa,
una mostra costruita sugli abiti
dell'imperatrice d'Austria
Elisabeth, Sissi, i cui abiti furono
fatti confezionare da sarte
vicentine e oggi sono custoditi in
soffitta, dopo essere stati esposti
insieme alle foto a Castel Mareccio
a Bolzano e in Austria, al Castello
di Laxemburg. Cornale dichiara
un'affinità innata con la cultura
mitteleuropea. Il suo spirito va a
Nordest e più su, verso il Baltico.
Nasce, anche da qui, la passione per
la poesia russa che lo ha portato a
una riscoperta delle liriche di
Marina Ivanovna Cvetaeva cui ha
dedicato una mostra, La Finestra,
nel 2001, esposta a Recoaro e a
Gioia del Colle. Dall'autrice
moscovita ha poi allargato
l'orizzonte al di lei conterraneo
Andrej Belyj, poeta di cui ha
narrato in sequenza fotografica i
versi de Il Demone, una
mostra peraltro pronta e che attende
una collocazione.
Il Vestito da Sposa è dunque
una serie dedicata all’Imperatrice
Elisabeth e alle sue ossessioni.
Cornale parte per Vienna seguito
dalla modella in modo da respirare
l’autenticità, i luoghi
dell’Imperatrice. Ne esce un lavoro
di 137 immagini in bianco e nero,
con il suo stile inconfondibile.
Abbandoniamoci e seguiamo il viaggio
astratto dell'occhio commosso e
attento di un'artista che rivisita
la figura-mito di Elisabetta
d'Austria - moglie di Francesco
Giuseppe - in chiave intimistica e
con tono profondamente umano.
Umberto Cornale ci guida attorno al
cerchio di un'esistenza breve e
carica di presagi, solitaria e
controversa, in verità mai davvero
conclusa nell'immaginario
dell'artista. Gli abiti giocano
tutti i ruoli della scena come
simbolo di un'identità mutevole,
sovrapponibile ma inscindibile, in
una sequenza di rappresentazioni. Un
vestito come immagine del sé, amato,
subìto, ammirato e pur sempre
specchio di un'esistenza reale,
intensa e sofferta.
L'osservatore
esplora in sequenza il mondo di
Elisabetta visto da dentro e da
fuori, nell'immagine tenera e
ironica dell'"angelica Sissi", come
pure in quel gabbiano solitario
senza patria né compagni in cui la
principessa amava identificarsi,
ideale di libertà e insieme
"gabbiano nero" - così da lei
immaginato - presagio di un oscuro
destino di morte. Ed è infatti in
una dimensione di sogno e di
astrazione, alla quale volentieri la
giovane Elisabetta si abbandonava
dall'alto di amate vette alpine o
volgendosi verso l'esteso e
altrettanto amato mare, che
l'evocazione della morte prende
corpo e l'abito fa la sua comparsa
come protagonista. Preziosa è l'arma
che dà la morte e dissolve il breve
sogno in momenti di vita tra
immagini ufficiali e altre "rubate",
di introspezione e riflessione.
Dall'ufficialità della sua vita vale
ricordare le numerose visite ai
manicomi, svolte con attenzione
speciale e qui rappresentate nella
doppia identificazione di cui il
vestito è strumento. La follia qui
non è solo un episodio, è un
tema-simbolo nella sua accezione al
contrario, che vede senno e follia
scambiarsi di posto, accezione
accolta tra i pensieri
dell'Imperatrice stessa.
Osservando siamo investiti dai
contrasti del chiaro-scuro, dal
gioco che si svolge sotto i nostri
occhi tra realtà e sogno e ci
restituisce binomi laceranti di
allegria-tristezza,
solitudine-compagnia,
prigionia-libertà. L'armonia mancata
genera reazioni violente, respinge
l'amore come valore, porta ad
esaltare la bellezza come unica
fonte di forza. Il regale "vitino da
vespa" evoca assurde fissazioni
anoressiche mentre velo nuziale e
velo funebre si associano nella
nostra memoria storica e rendono
incisivo il presagio della fine.
Alla dialettica ironica del destino
l'occhio fotografico vuole tuttavia
sostituire un dialogo immaginario
tra Elisabetta-mito ed
Elisabetta-realtà, attraverso
l'abito delle mille valenze. Ma è
soltanto nella dimensione della
solitudine e della riflessione che
quest'incontro si realizza, una
solitudine che muove l'animo
all'accettazione di un tragico
destino e lo giustifica come una
semplice "uscita di scena”.
Il viaggio di Umberto Cornale
prosegue e, nel 2008 approda a
Vienna, presso la Casa della Cultura
per il Die Oesterreichische
Gesellschaft für Literatur, dove
presenta il
cortometraggio-documentario su una
storica tipografia di Merano dal
titolo Ninisinna, Rigoberta und
Kleopatra in der Offizins.
Cornale gira questo documentario
all’interno della Tipografia antica
mentre il suo amico tipografo
Siegfried lavorava.
Altro
progetto di rilievo è senza ombra di
dubbio La Marcia delle Rose.
Un inverno di qualche anno fa
durante una passeggiata al
Volksgarten, il giardino del popolo
di Vienna, ad attrarre l'attenzione
dell'artista è una fila di roseti
incappucciati che richiamano alla
mente i deportati in marcia verso la
morte, ma anche, più recentemente, i
deportati dei nostri giorni, gli
immigrati che affrontano viaggi
spaventosi per raggiungere i nostri
confini. L’ispirazione ideale per
immagini di figure senza volto che
camminano incolonnati, fruscii di
passi di donne, uomini, bimbi in
silenzio... La sequenza fotografica
trova una continuità ideale alla stazione
di Vicenza dove una giovane donna
indiana stringe tra le mani un mazzo
di rose mentre aspetta un treno
merci, triste ricordo del passato e
metafora del presente. Quando il
treno se ne va, la giovane donna
getta a terra le rose, compiendo un
gesto ieratico e d'amore nello
stesso tempo. Poi fa cadere i petali
- forse le anime dei morti - nel
fiume dove, nel fondo, volando verso
la libertà, si ricompongono. Sono
immagini, queste, di grande speranza
in cui la vita, la luce prendono il
sopravvento. L'obiettivo
dell'artista inquadra infine un
mazzo di rose ghiacciate,
cristallizzate, a perenne ricordo di
tutti gli
oppressi di ogni epoca e latitudine.
Il
fotografo recoarese è un assertore
della manualità: "Difendo dallo
strapotere del digitale - dice - il
valore della stampa fotografica
ancora realizzata in camera oscura,
una cosa preziosa che oggi sta
scomparendo ‘grazie’ alla tecnologia
digitale che ha fatto perdere il
valore della stampa fotografica come
artigianato puro. Si è perso il
tatto. Infatti, sono scomparse carte
bellissime dell'Agfa e dell'Ilford.
Ora nel mercato esistono poche
qualità di carte di stampa
fotografica per la camera oscura e
gli ingranditori sono quasi
scomparsi. La fatica e la cura di
realizzare una stampa buona è arte
vera". Umberto Cornale traduce
magistralmente le suggestioni di
storie senza tempo, nelle quali
realtà e fantasia si compenetrano,
trasformandole in poesia.
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